La Best Practice: mito o falso mito

La best practice, in italiano assume il significato di migliore pratica o buona prassi. È un insieme di regole che, applicate all’interno di una qualunque organizzazione, aiutano a favorire il raggiungimento del miglior risultato.

Il concetto di best practice

Questo concetto nasce nell’ambito manageriale agli inizi del Novecento, e nel tempo si è evoluto in una vera e propria tecnica di gestione.

Trova la sua applicazione in molti ambiti, come ad esempio in quello sanitario, in quello ingegneristico, in quello della formazione scolastica, di governo, e così via.

Fino all’introduzione della certificazione ISO 9001, la tecnica della migliore pratica ha rappresentato l’unica one best way per tutte le organizzazioni alla ricerca della ottimizzazione dei risultati.

Obiettivo: massimo risultato, minimo dispendio di risorse ed elevato standard qualitativo.

La best practice e la sua fragilità 

Il tempo però ha fatto emergere gradualmente tutte le criticità di questa tecnica proprio nella sua applicazione pratica.

Le difficoltà di riprodurre modelli simili per rispondere sia a esigenze differenti che ai repentini cambiamenti del mercato, hanno dimostrato la fragilità e l’inapplicabilità di questa tecnica come unico modello di riferimento per tutte le imprese.

Pur appartenendo allo stesso settore, ogni impresa è diversa dall’altra.

Le differenze riguardano la struttura organizzativa, il modello organizzativo, i processi aziendali, le procedure operative, la modalità di gestione delle risorse, lo stile di governo e il contesto di mercato in cui l’impresa opera.

Quindi, riportando il ragionamento in un quadro di riferimento più realistico bisogna considerare la migliore pratica come una delle più importanti leve dello sviluppo organizzativo di ogni impresa.

Cade così la precedente idea di one best practice, a favore di un’altra, one and only one best practice, meglio contestualizzata all’impresa e al mercato in cui opera.

La best practice come forma di esperienza

Il funzionamento del sistema impresa poggia sui cosiddetti meccanismi operativi.

Dall’impostazione di questi meccanismi dipende l’efficacia, l’efficienza e la flessibilità al mercato dell’intero sistema impresa.

Uno tra questi, quello più importante dal punto di vista strategico, è il sistema informativo.

Senza informazioni un’impresa non può funzionare, non si possono prendere decisioni e, soprattutto, non si possono misurare le sue performance.

Quindi senza informazioni, non è possibile stabilire qual è, tra le tante, la migliore pratica tra quelle sperimentate.

Naturalmente quando si parla di sistema informativo, sebbene siano due cose concettualmente differenti, non si può fare a meno di parlare anche di sistema informatico.

Oggi non c’è impresa che non faccia uso di un sistema informatico per ospitare il proprio sistema informativo e automatizzare le attività più ricorrenti.

In questo senso, l’offerta delle applicazioni informatiche per l’impresa è molto vasta e scegliere quella più adeguata alle proprie esigenze, non è poi così facile.

Molti fornitori IT utilizzano la best practice come una forte leva di marketing con l’obiettivo di comunicare ai potenziali clienti che hanno avuto una esperienza in quel particolare settore d’impresa.

Attenzione però a non confondere il concetto di esperienza, strumentale al messaggio commerciale, con il concetto di migliore pratica come applicazione di una tecnica manageriale per raggiungere i migliori risultati.

La sovrapposizione di questi due concetti crea ambiguità.

Naturalmente è una forma di ambiguità molto sottile che sfugge all’attenzione di molti.

Gli effetti dell’ambiguità nel processo di selezione del software

Le imprese di piccole dimensioni che sentono l’esigenza del cambiamento sono quelle maggiormente esposte ai rischi derivanti da questa ambiguità.

Prediligono un approccio pull perché sopperiscono alla difficoltà di formalizzare le proprie esigenze lasciandosi guidare dalle tecnologie informatiche e dalle scelte fatte in tal senso dalle imprese di riferimento del proprio settore.

Partono dalla convinzione, “se va bene a loro, va sicuramente bene anche a me”, e sottovalutano gli effetti derivanti dall’adozione di un sistema informatico implementato in base alle specifiche di un’altra impresa.

È vero che si può godere dei vantaggi di un’applicazione software verticalizzata sul settore, ma è pur vero che si possono ereditare processi, procedure e pratiche di gestione inadeguati per il proprio sistema organizzativo.

Diverso è invece l’approccio delle imprese di medie e grandi dimensioni quando devono affrontare questo momento.

È un approccio più sistemico, meglio conosciuto come approccio push, cioè la scelta è guidata dalle proprie esigenze e non dalle tecnologie e dalle scelte altrui.

Tutto parte dalla redazione di un documento tecnico che descrive il contesto aziendale, i processi e le procedure operative, i requisiti funzionali e non funzionali richiesti al sistema informatico.

Questo documento viene sottoposto all’attenzione del fornitore IT il quale sulla base di queste informazioni sottopone la propria soluzione informatica.

Allo stesso tempo  indica quali delle richieste non riesce a soddisfare, e quali invece riesce a soddisfare in maniera differente rispetto ai requisiti richiesti.

Ovviamente i due differenti approcci inducono a differenti comportamenti da parte dei diversi fornitori IT.

Una cosa è formulare un’offerta commerciale sulla base di un documento tecnico assimilato ad un capitolato, ben altra cosa è formularla nella consapevolezza che possono emergere più criticità.

L’origine di tutti i mali non è l’approccio pull in quanto tale, ma sono le convinzioni sottostanti, ovviamente sbagliate, ad esserlo.

Una cosa è dire mi piace questa applicazione, mi assumo tutte le responsabilità della scelta, la pago così com’è, e dopo averla utilizzata chiedo al fornitore IT di personalizzarla in funzione delle mie necessità, pagando ovviamente le ulteriori prestazioni.

Altra cosa è invece dire mi piace questa applicazione, devi personalizzarla in base alle mie necessità senza per questo produrre un documento analitico delle richieste, e poi chiedere quanto costa.

La best practice, mito o falso mito

La migliore pratica è sicuramente il mito di tutte le imprese che tendono a ottimizzare i risultati in termini di efficacia e di efficienza nell’ottica della qualità.

Obiettivo: migliorare la propria capacità di competere.

È un falso mito se il concetto di esperienza viene erroneamente assimilato a quello di  migliore pratica nel processo di scelta del proprio sistema informatico.

La pubblicazione di una best practice, intesa come forma di esperienza in un particolare settore d’impresa accompagnata da una recensione da parte dei vertici aziendali, è un messaggio molto forte.

Però lascia anche intendere che la migliore pratica implementata in quella soluzione software, è quella che in assoluto è la migliore di tutte, e questo non è affatto vero.

È sicuramente la migliore per il contesto organizzativo e di mercato dell’impresa che l’ha commissionata.

Nella scelta della soluzione informatica la best practice in qualche maniera aiuta solo a valutare il livello delle conoscenze del fornitore IT su alcune tematiche e non altro.

Quindi attenzione a come utilizzare il mito della best practice perché in alcune circostanze potrebbe rivelarsi un falso mito, e quando te ne accorgi è sempre molto tardi.

[sc name=”article-end”]